Riuscire
a lavorare a “tempo pieno” sulla
didattica della storia è un’aspirazione
che perseguivo da anni e quindi l’approvazione
del progetto “Un archivio storico di fonti
orali tra scuola e territorio” è
stata la sua realizzazione.
Questo per spiegare l’entusiasmo e le
molteplici attività messe in cantiere”.
Ho dovuto fare i conti con un livello di ansia
che non ho mai avuto nei passati anni di insegnamento,
dovuto al fatto che si trattava di rivestire
un ruolo per me assolutamente nuovo. Dovevo
accettare l’apertura di tante “finestre”
che non sapevo se e quando avrei chiuso. Certamente
questo ha sollecitato processi di metariflessione,
mi ha spinto ad approfondire teorie, ad attuare
percorsi di ricercazione.
Si è trattato di “inventare”
il laboratorio di storia, per adattarlo alla
specificità della nostra scuola e perché,
a quanto mi risulta, esperienze analoghe su
cui poter contare sono rare.
Il reperimento di fondi, di materiale, i preventivi
di spesa, i contatti da avviare con gli Enti
e le Associazioni presenti sul territorio, sono
state tutte incombenze, se non completamente,
almeno in parte nuove. Si
trattava poi di impostare in modo diverso una
serie di relazioni sociali, prima fra tutte
la collaborazione con le insegnanti che avrebbero
partecipato direttamente al progetto.
Dovendo scegliere un punto da cui partire ho
privilegiato l’aspetto didattico, la strutturazione
e la realizzazione dei percorsi con i bambini
E’ l’aspetto sul quale ho certamente
maggiore competenza, e gli altri sono venuti
di conseguenza. L’impostazione di un buon
lavoro con le classi credo sia la carta vincente
per dimostrare la validità di ipotesi
metodologiche innovative.
Al
fine di migliorare l’impiego delle energie
ho dovuto imparare a delegare maggiormente,
a decentrare alcune funzioni, a coinvolgere
più individui.
Nella relazione con i ragazzi, mi è mancato
il rapporto più personale che si instaura
con l’insegnante di classe (in particolare
elementare), il poter seguire e se possibile
agevolare un cammino di crescita sociale.
Impostare il lavoro con le classi in modo interdisciplinare
non è stato sempre facile, soprattutto
far passare l’idea che l’interdisciplinarietà
efficace è quella che parte prima di
tutto da una condivisione di obiettivi metodologici,
di conduzione di classe e arriva poi a progettare
intrecci tra le discipline. In altri casi avrei
voluto non essere io a proporre sempre possibili
sviluppi in altri ambiti. Discutendo questi
problemi con i colleghi mi sono resa conto che
dovevo dare del tempo a me e a loro per entrare
in sintonia e riuscire a valorizzare davvero
al meglio le potenzialità insite in un
approccio così complesso.
Percorrere strade innovative ha anche voluto
dire entrare in conflitto con qualche genitore,
nonostante l’attenzione che è stata
posta nell’illustrare le motivazioni delle
scelte e gli obiettivi che si intendevano raggiungere.
E’ vero che si è sempre trattato
di un’esigua minoranza appassionata sostenitrice
del manuale e della lezione frontale (nonostante
l’amore dei figli per la storia), tuttavia
a volte ci sono stati momenti in cui mi sono
scoraggiata: mi sembrava impossibile che certi
risultati non potessero essere visti.
I colleghi sono stati un vero punto di forza,
perché c’è sempre stata
apertura al dialogo. Con loro ho potuto manifestare
le mie ansie, discutere su dubbi e su perplessità,
e questo è stato fatto a livello collegiale
nelle riunioni, ma anche a livello più
personale nel condurre un’attività,
ad esempio.
I percorsi didattici realizzati mi sembrano
buoni. Sento la necessità di raccordare
sempre meglio i contenuti affrontati ai nodi
della ricerca storiografica, limitando la numerosità
a vantaggio della riflessione e dell’acquisizione
di operatività in campo storiografico.
Mi sarebbe piaciuto avere più tempo da
dedicare alla realizzazione di interviste e
alla ricerca in archivio. I momenti delle interviste
sono stati arricchenti sotto il profilo storico
e personale. Ho vissuto come un dono prezioso,
che veniva fatto a me, ma non solo, il racconto
di una vita, il poter condividere le emozioni
legate ai ricordi. Da questi incontri sono nati
legami e desiderio di rivedersi, come se il
racconto appena sollecitato si fosse poi trasformato
in una urgenza incontenibile (“Ca turna
‘encura a truveme! Ades a sun venume ‘en
ment tante cose…” - Torni ancora
a trovarmi! Adesso mi sono tornate alla memoria
tante cose - )
Tra gli aspetti positivi annovero sicuramente
la possibilità che mi è stata
offerta di guardare alla mia professione e al
mio crescere di persona, da un punto di osservazione
un po’ diverso, per constatare come i
due piani si intreccino in continuazione. Ho
sentito il bisogno di andare in profondità….
Parallelamente si è accentuato il desiderio
di rivalutare il mestiere di insegnante: questo
discorso è ben lontano dall’atteggiamento
di arrogante difesa di vecchi privilegi (per
quanto riguarda la scuola elementare, e in particolare
la nostra situazione locale, mi sembra ne siano
rimasti ben pochi…), è la richiesta
di riconoscere la competenza e l’impegno
laddove esiste, anche da questo dipende la possibilità
di successo di un percorso educativo |